Selin è una matricola di Harvard di origine turca; la sua storia scorre nella narrazione determinista e naturale raccontata in prima persona tra coinquiline ciarliere, studenti di matematica e psicolinguistica e lezioni di lingua russa, il tutto mentre si interroga sulla natura delle relazioni tra coetanei. Il racconto di Selin è ben oltre una descrizione di eventi concatenati fra loro: è autodeterminazione attraverso il linguaggio, la descrizione di un’individualità mai disconnessa dalle rappresentazioni materiali del mondo, del resto «se non avessimo in testa una specie di storia con un suo svolgimento, come faremmo a sapere chi siamo quando ci svegliamo la mattina?».
È sempre Selin che ci mostra il vero protagonista del romanzo L’idiota (di Elif Batuman, traduzione di Martina Testa, Einaudi 2018), che è il linguaggio come sistema autosufficiente, tra le cose più reali e concrete del mondo: è l’insieme di regole che consente di capire e manipolare tutto da parte di chiunque sia in grado di padroneggiarlo. Ci muoviamo nel mondo costretti a quella che il filosofo del linguaggio Donald Davidson definiva «interpretazione radicale», ovvero la comprensione di un sistema linguistico sconosciuto attraverso espressioni associate a eventi contingenti: e sorpresa, la comprensione è possibile. Difficile forse, ma possibile. L’obiettivo di Selin, inconscio all’inizio ma sempre più consapevole via via che il romanzo procede, è smontare il relativismo culturale dell’incommensurabilità fra linguaggi, e quindi di distanza tra sistemi di pensiero di persone che parlano lingue diverse; sarà un caso che l’amore della studentessa turco-anglofona sia un matematico ungherese? Che il dialogo amoroso sia veicolato dall’esperienza epistolare (via email, per la precisione, in un anno – il 1995 – in cui la popolarità dei mezzi di comunicazione virtuali sbocciava in ogni dormitorio universitario) e affidato all’inglese e al russo? Quanto il linguaggio sia l’ossatura del sistema-mondo e quanto più del sistema-persona è una questione che dovrà risolvere la nostra matricola nel corso nell’anno accademico; dipende molto dalla comprensione soggettiva degli eventi. Per esempio, nel disneyano film d’animazione Dumbo, quando l’elefante si riscatta e i cattivi hanno la peggio tutti applaudono, anche i bulli; «ma quelli siete voi, pensavo io fra me e me. Come facevano a non capirlo? Non lo capivano. Era sconvolgente, una verità sconvolgente. Tutti pensavano di essere Dumbo».
Selin lascia Harvard per le vacanze estive raggiungendo l’Ungheria per un progetto di insegnamento della lingua e della cultura americana nei paesini magiari dove i bambini pronunciano la e finale di five e fine, attorno ai falò estivi si mangia lardo infilato su un bastoncino e si scende fino a Budapest in canoa. Il filo col suo amore ungherese resta vivo nell’indecisione di una telefonata da fare e sempre richiamata da cabine telefoniche scintillanti disseminate qua e là.
Il ritorno a casa coincide con la fine del primo anno accademico ricco di incontri, lampi brevi di conversazioni con sconosciuti perché «ogni cinque minuti spuntavano nuovi personaggi, con i loro nomi insoliti e la parlata peculiare, e bisognava dargli retta per un po’ anche se magari non li incontravi mai più per tutto il resto del libro». Nessun incontro tuttavia è irrilevante: i personaggi decisivi, in un romanzo così come nella vita, non sono forse quelli che ci portano verso altra gente, invece di seppellirci sotto una roccia?
Elif Batuman, americana di origine turca (come Selin), classe 1977 con un dottorato in letteratura russa e studiosa di lingua russa e linguistica (sì, come Selin) affronta la scrittura più come un personal essay che come una costruzione di fiction letteraria. Affiora una ricerca della correlazione tra impressione e realtà, e un’analisi onesta, spesso sorpresa, ironica di come questa realtà sia narrata in soggettiva. È a partire dal titolo, omaggio all’omonima opera di Dostoevskij, un lungo tributo all’amore per i libri, perché con le storie si raccontano i mondi: «era convinta, e io con lei, che al centro di ogni storia ci fosse un significato ben preciso. Uno poteva coglierlo o perderselo completamente.»
Questa narrazione personale della vita di Selin intrecciata con gli altri è registrata e aggiornata giorno dopo giorno in svolgimento continuo, ma sempre pronta per essere riavvolta e riletta in cerca di un errore o di una deviazione, con un andamento che non vuole essere predeterminato e resta invece ostinatamente vitale.
Autore: Elif Batuman
Titolo: L’idiota
Editore: Einaudi
Pagine: 432
Prezzo: 21 euro
Recensione originariamente pubblicata su Al di là degli stereotipi, proprio qui.
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